Il Governo Letta

Non vedo, non sento, non parlo

di Francesco Nucara

I comportamenti dei politici della tanto "vituperata" Prima Repubblica erano certamente più consoni a una stile di vita politica che con la Seconda Repubblica non ha proprio niente a che vedere né a che fare.

Erano comportamenti improntati alla responsabilità del ruolo che si ricopriva e al conseguente esempio che si doveva dare al popolo italiano. E, si badi bene, i mezzi di comunicazione di massa non erano certamente quelli di oggi. Lo spunto per questa riflessione ci viene dato dal cosiddetto caso Cancellieri, ma non solo.

Dalla lettura dei giornali e dal doppio dibattito che si è svolto in Parlamento, l’informativa prima alle Camere e la mozione di sfiducia l’altro giorno alla Camera dei Deputati, arriviamo a conclusioni amare.

Durante la sua attività di Ministro dell’Interno, la Cancellieri ha sciolto una serie di assemblee comunali, motivando gli scioglimenti sulla base di informative delle prefetture, fornite spesso e volentieri su dati erronei o sulla base di frequentazioni, non dei rappresentanti del popolo, bensì dei loro congiunti. Non si capisce dove starebbero i collegamenti.

Il signor Ministro, sulla base di una personale amicizia con la famiglia Ligresti, tanto da esprimere sorpresa e rammarico nell’immediatezza degli arresti sul caso Fonsai, durante una telefonata alla compagna del capofamiglia, malgrado l’inopportunità di quel contatto, decide oggi, sostenuta con una certa forza dal presidente del Consiglio e probabilmente da altre autorevoli personalità dello Stato, di rimanere al suo posto e di respingere con forza le accuse che le sono state rivolte dai grillini nella loro mozione di sfiducia.

Orbene, nessuno accusa la signora Cancellieri di reati che non ha commesso e, nell’eventualità li avesse commessi, ci penserà la magistratura, bensì di un comportamento poco consono al ruolo che ricopre.

Se un qualunque consigliere regionale avesse fatto una telefonata di solidarietà ad un suo compagno delle elementari, oggi arrestato per mafia, la magistratura lo avrebbe già mandato in custodia cautelare.

Torniamo al punto.

La Cancellieri viene difesa a spada tratta da Enrico Letta, e il PD, nel timore che le dimissioni del Ministro possano far cadere il governo, vota contro la sfiducia.

Ma questo governo ha la dignità istituzionale per proseguire nella sua opera di risanamento e di riforma dello Stato, come si era prefissato? Pensiamo di no!

Prima del caso Cancellieri c’era stato il caso Alfano (di cui avevamo scritto su questo giornale).

Stiamo parlando del caso Shalabayeva, la signora kazaka moglie di un signore che contrasta il regime dittatoriale del suo Paese e che a fine maggio di quest’anno venne improvvisamente prelevata insieme alla sua figlioletta in una abitazione di Casal Palocco (Roma) e spedita al suo paese di origine. Questo contro la sua volontà e malgrado le sue proteste, è ovvio dirlo ma meglio precisarlo.

Naturalmente le infantili giustificazioni del Ministro dell’Interno Angelino Alfano non hanno convinto nessuno, tanto da indurre il quotidiano "la Repubblica" a rivolgergli le solite 10 rituali domande (vedi Berlusconi, Formigoni e quindi Alfano). Noi siamo il Paese che guerreggia in mezzo mondo per difendere i diritti umanitari, mentre mandiamo nella sua terra d’origine, il Kazakistan, la signora kazaka e la sua figlioletta, dove i diritti umani sono costantemente calpestati.

Ovviamente, oltre ad Alfano, era all’oscuro di tutto la paladina per eccellenza dei diritti umani: il ministro Emma Bonino.

Questa è la Seconda Repubblica.

Vediamo ora cosa succedeva nella Prima Repubblica, senza andare molto lontano nei tempi.

Dopo l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga si dimise dalla sua carica. Certamente Cossiga non aveva responsabilità né dirette né indirette. Tuttavia egli sostenne che da Ministro dell’Interno non era stato capace di salvare la vita del presidente della Democrazia Cristiana e quindi aveva fallito nel suo compito istituzionale.

Altro caso che riguarda più da vicino i repubblicani fu quello relativo alla fuga di Kappler, il boia delle fosse Ardeatine.

Kappler con uno stratagemma evase dall’ospedale militare del Celio (Roma), eludendo la sorveglianza dei carabinieri. Ministro della Difesa era il barese Vito Lattanzio.

Anch’egli disse che non era lui a controllare Kappler, bensì un capitano dei carabinieri. A questo punto Ugo La Malfa iniziò una battaglia parlamentare sulla responsabilità politica del Ministro, separandola dalla responsabilità personale.

Alla fine Vito Lattanzio fu costretto a dimettersi grazie ad Ugo La Malfa, come ha ricordato recentemente Eugenio Scalfari su "la Repubblica".

Altri tempi, cari astri nascenti della politica italiana!